
Le modifiche normative: le opzioni previste dall’art. 600 c.p.c.: la separazione in natura; la vendita della quota indivisa; il giudizio di divisione.
Con la riforma attuata con la L. n. 80 del 14 maggio 2005 e successive modifiche il legislatore ha introdotto una modifica particolarmente incisiva nella disciplina dell’espropriazione di beni indivisi, recependo le c.d. “prassi virtuose” di molti Tribunali d’Italia che, nell’ipotesi di pignoramento di quota indivisa di un bene in comunione, anziché porre in vendita la stessa, optavano per le altre soluzioni previste dall’art. 600 c.p.c., vale a dire la separazione in natura o l’instaurazione del giudizio di divisione, in modo da pervenire per tali vie ad una – quantomeno potenziale – miglior realizzazione della quota oggetto di azione esecutiva, posto che nell’uno e nell’altro caso, in luogo di una quota astratta, di difficile appetibilità, si immette sul mercato una porzione immobiliare concreta (nella separazione in natura) se non l’intero immobile (attraverso la vendita dell’intero immobile che, come di frequente accade, non sia comodamente divisibile).
L’esperienza ante riforma ha, infatti, dimostrato che – tranne i casi in cui, pignorata, ad es. la quota pari ad un mezzo pro indiviso dell’abitazione coniugale, il coniuge non esecutato riusciva a “rilevare” la quota espropriata – gli incanti aventi ad oggetto quote indivise andavano sistematicamente deserti con conseguenti progressivi ribassi della base d’asta ed aggiudicazioni ad un prezzo pressoché irrisorio in evidente pregiudizio delle ragioni dei creditori e di conseguenza dello stesso esecutato che vedeva ricavato dai propri beni un importo insufficiente all’estinzione della posizione debitoria.
Con la riforma, dunque, la gerarchia delle modalità di scioglimento della comunione è stata sovvertita giacché la scelta tra la separazione della quota in natura e la instaurazione del giudizio di divisione è divenuta la regola, mentre la vendita della quota indivisa rappresenta ora la soluzione residuale da adottarsi solo quando il giudice dell’esecuzione ravvisi una concreta possibilità di ottenere per tale via un ricavato pari se non superiore al valore della quota, stimato ex art. 568 c.p.c.
Dispone, infatti, l’attuale art. 600 c.p.c. che «Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.».
Tre sono, dunque, nell’ordine sopra detto, le possibilità previste dalla norma sopra citata: la separazione della quota in natura, l’instaurazione del giudizio di divisione e la vendita della quota indivisa.
Separazione in natura
La separazione della quota in natura richiede, in primo luogo, un’espressa istanza che può provenire da tutti i comproprietari o da un creditore. In difetto di richiesta, il giudice dell’esecuzione non può disporre d’ufficio la separazione neppure quando sia materialmente possibile.
Con la separazione in natura si realizza sostanzialmente una divisione parziale per effetto della quale la quota pro indiviso spettante al debitore viene convertita in una porzione concreta o meglio in un diritto esclusivo avente ad oggetto una porzione concreta e singolarmente individuata del bene che, qualora i comproprietari siano più di due, per la restante parte resta ancora indiviso.
L’effetto finale della separazione in natura è, quindi, la concentrazione del pignoramento sul bene attribuito in concreto al debitore esecutato in sostituzione della sua quota astratta, bene che poi verrà venduto o assegnato dal giudice dell’esecuzione secondo le norme della procedura espropriativa; su detta porzione di bene si concentrerà, dunque, l’ipoteca eventualmente costituita dal debitore sulla quota astratta (art. 2825 comma 1 c.c.).
La separazione della quota in natura, da effettuarsi dal giudice dell’esecuzione con ordinanza, rappresenta la soluzione preferita dal legislatore anche se nella pratica si presenta di difficile realizzazione in considerazione della tipologia di immobili assoggettati a pignoramento ovvero della quota altamente frazionata assoggettata ad esecuzione: detta opzione presuppone, infatti, la concreta possibilità di stralciare una porzione concreta della massa indivisa di valore corrispondente alla quota spettante al debitore esecutato.
Tale possibilità va evidentemente valutata, oltre che sotto il profilo materiale, anche sotto il profilo della fruibilità commerciale della porzione “separabile”, ciò che nel caso di quote altamente frazionate è, spesso, un obiettivo irrealizzabile.
Si pensi all’ipotesi di pignoramento che colpisce una quota altamente frazionata di un terreno di conformazione regolare, tale, quindi, da rendere materialmente possibile la separazione in natura della quota del debitore, ma la cui potenzialità edificatoria venga compromessa dall’eccessivo frazionamento.
Qualora, invece, tale via sia percorribile, è comunque necessario che il creditore provveda a notificare l’avviso di cui all’art. 599 c.p.c. a tutti i soggetti menzionati nell’art. 1113 comma 3 c.c. al fine di rendere loro opponibile la separazione in natura.
Vendita di quota indivisa
Con la vendita della quota indivisa lo stato di comunione non viene sciolto ma si realizza una sostituzione nella stessa dell’aggiudicatario definitivo al debitore esecutato.
Tale opzione, che prima della riforma costituiva la regola è attualmente divenuta, per le ragioni sopra esposte, la soluzione residuale, praticabile soltanto laddove il giudice dell’esecuzione ritenga che il ricavato ottenibile sarà pari o superiore al valore della quota come determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.
Il giudizio di divisione
Il giudizio in questione si svolge nelle forme del rito ordinario davanti al Giudice dell’esecuzione, funzionalmente competente ex art. 181 disp. att. c.p.c.
Premesso che è orientamento conforme della giurisprudenza di merito ritenere che la domanda di divisione sia già formulata nella stessa istanza di vendita depositata ai sensi dell’art. 567 c.p.c., in considerazione della funzione strumentale svolta dal giudizio di divisione nell’ambito del procedimento esecutivo, ossia pervenire alla individuazione di una titolarità esclusiva del debitore da sottoporre a vendita, le iniziali modalità di svolgimento variano a seconda che tutti gli interessati siano o meno presenti all’udienza fissata ex art. 600 c.p.c.
Nel primo caso (comma 1 art. 181 disp. att. c.p.c.) il giudice dell’esecuzione assume la veste di giudice istruttore e rimetterà le parti davanti a sé, in sede contenziosa, assegnando un termine per l’iscrizione sul ruolo contenzioso, fissando udienza per l’istruzione della causa a norma degli artt. 175 e ss. c.p.c.
Nel secondo caso (comma 2 del menzionato articolo), invece, il giudice dell’esecuzione dovrà fissare una nuova udienza di comparizione assegnando alla parte più diligente un termine fino a sessanta giorni prima dell’udienza per integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari non presenti (art. 1113 c.c.) mediante notificazione dell’ordinanza (che dispone procedersi alla divisione).
Si rileva che l’ordinanza di fissazione della udienza di comparizione, unitamente all’istanza di vendita che, per quanto sopra detto, ha il contenuto della domanda giudiziale, costituisce titolo per l’iscrizione a ruolo della causa di divisione, nonché per la trascrizione ex art. 2646 c.c.
Vigente il precedente quadro normativo era, poi, controverso se lo scioglimento della comunione potesse essere disposto d’ufficio dal giudice dell’esecuzione giacché il testo ante riforma dell’art. 600 c.p.c. non faceva riferimento ad alcuna istanza di parte, prevista, invece, per la separazione della quota in natura («Il G.E., su istanza del creditore pignorante o dei comproprietari e sentiti tutti gli interessati, provvede, quando è possibile, alla separazione … se la separazione non è possibile può ordinare la vendita della quota indivisa o disporre che si proceda a divisione a norma del codice civile»).
L’attuale testo dell’art. 600 comma 2 c.p.c. («Se la separazione non è chiesta o non è possibile il giudice dispone che si proceda a divisione a norma del codice civile … ») sembrerebbe ora attribuire al giudice il potere di disporre d’ufficio l’instaurazione del giudizio di divisione, salvo ritenga utilmente esperibile la vendita della quota indivisa.
Sul punto si osserva che se così non fosse, considerato che l’ultima opzione contemplata dalla norma in commento è residuale, se non vi fosse nessuna iniziativa di parte volta a domandare la separazione o la divisione, il procedimento esecutivo rimarrebbe in uno stato di stasi indefinita (pur ritenuto che l’inerzia dei creditori, qualificata come disinteresse alla prosecuzione della procedura esecutiva, sarebbe idonea, in quanto tale, a legittimare una pronuncia di improseguibilità della stessa).
A seguito dell’instaurazione del giudizio di divisione l’esecuzione forzata è sospesa in ragione del rapporto di pregiudizialità tra i due procedimenti ed il relativo provvedimento, dato nella forma dell’ordinanza, attesa la autonomia dei due procedimenti non costituisce provvedimento istruttorio del giudizio di cognizione.
Il giudizio di divisione richiede la citazione in giudizio, in primo luogo, di tutti i comproprietari. Debbono quindi essere chiamati a intervenire i soggetti indicati nell’art. 1113 comma 3 c.c. non essendo sufficiente che gli stessi ricevano l’avviso di cui all’art. 599 c.p.c.
Devono essere, inoltre, citati in giudizio i titolari di diritti reali parziari sull’immobile oggetto di divisione costituiti con atto trascritto in data antecedente la trascrizione del pignoramento anche se gli stessi non sono destinatari dell’avviso di cui all’art. 599 c.p.c.
Continua……
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